venerdì 1 luglio 2016

Sismicità storica della Pianura Padana ed il terremoto del 1570

Il terremoto in Emilia del maggio 2012 ha riacceso il dibattito scientifico sulla sismicità nella Pianura Padana, spesso a torto trascurata, e sui rischi connessi. Non mancano riferimenti storici su terremoti padani: già nel lontano 1117 e poi nel 1222 l'area intorno al Po fu teatro di eventi disastrosi. Altri terremoti si sono quindi succeduti fino ai giorni nostri e la loro indagine attenta, corredata dalle conoscenze sismotettoniche attuali, dovrebbe aiutare nella prevenzione dei rischi connessi al ripetersi di simili fenomeni. In questo contesto assume particolare rilevanza la recente pubblicazione di un interessante studio riguardante il terremoto che colpì Ferrara e zone limitrofe nel 1570: articolo apparso sul "Journal of Geographic Research"  e dal titolo "Source Inversion of the 1570 Ferrara Earthquake and Definitve Diversion of the Po River (Italy)", in cui i due autori (i ricercatori italiani L. Sirovich e F. Pettenati, dell'OGS di Trieste) descrivono l'evento e le sue implicazioni sismotettoniche. Il sollevamento tettonico del fronte appenninico sepolto, situato al di sotto delle potenti coltri alluvionali padane, e valutato in circa un cm/anno, è la causa di diversi terremoti nell'area emiliana: lo studio e la parametrizzazione dei terremoti storici, confrontati con quelli più recenti, possono aiutare non poco nella valutazione della vulnerabilità di interi territori.

di: Giampiero Petrucci(1) & Paolo Balocchi(2)


1) GeoResearch Center Italy – GeoBlog (sito internet: www.georcit.blogspot.com; mail: dottgipe@gmail.com).
2) GeoResearch Center Italy – GeoBlog.
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GeoResearch Center Italy - GeoBlog, 2 (2016), ISSN: 2240-7847.

Figura 1: Ipotesi di campo macrosismico per
il terremoto del 1117. a) intensità massima pari 
al grado IX, b) grado VIII, c) grado VII
(da: Serva, 1990).
Il primo forte sisma padano di cui si ha notizia data addirittura ben 900 anni fa, il 3 gennaio 1117 (fig. 1). Non è ancora chiaro quale possa essere l'origine sismotettonica di questo terremoto anche se molti autori propendono sull'ipotesi di una sorgente costituita da una faglia inversa giacente sotto i sedimenti alluvionali padani, probabilmente posizionata tra il Lago di Garda e le città di Verona e Vicenza, area in cui molti collocano l'epicentro. Studi e revisioni recenti confermano l'elevata intensità della Magnitudo associata a questo evento, certamente superiore a 6.5, valore che identifica il sisma come il più violento mai verificatosi nel nostro paese a Nord dell'Appennino. Probabilmente si sviluppa una lunga sequenza sismica, con più scosse nel giro di pochi giorni le quali provocano vittime e distruzione in tutta l'area della Pianura Padana.
Figura 2: Ipotesi di intensità del campo macrosismico
per il terremoto del 1222. a) intensità grado IX-X; b)
grado VIII; c) grado VII (da: Serva, 1990).
Le cronache dell'epoca e gli annali riferiscono notizie frammentarie, occupandosi quasi esclusivamente degli edifici principali, spesso ecclesiastici, e quasi mai delle vite umane. Il bilancio, seppur parziale, basta però a comprendere la vastità del fenomeno. La città più colpita risulta Verona: crolla la cinta esterna dell'Arena, gravi danni si verificano in molti monasteri e chiese tra cui Santa Maria Antica ed il Duomo, decine di voragini si aprono nel terreno. L'intero spazio urbano viene sconvolto ed in gran parte non ricostruito, come testimoniato nell'odierna città scaligera, dovuto alla mancanza di elementi architettonici alto-medievali a vantaggio dei più recenti stili romanici. Verona, già teatro di un'alluvione dell'Adige alla fine dell'anno precedente, subisce la devastazione più grande della sua storia. Nelle zone limitrofe rimangono fortemente danneggiate le cittadine di Montorio, Gazzo e Bardolino. A Padova crollano la cattedrale e la Basilica di Santa Giustina. A Vicenza è semidistrutto il campanile della chiesa di S. Felice e Fortunato, ricostruito trent'anni dopo. Nella laguna di Venezia le acque si agitano e si sviluppa un'eruzione di acqua sulfurea mentre la cittadina di Malamocco viene praticamente rasa al suolo e ricostruita in un altro sito. In Friuli si segnalano forti lesioni a Gemona ed Aquileia. Alcune testimonianze parlano anche di effetti lungo il corso del Po, dove si rompono gli argini ed allagano le campagne circostanti. Anche l'Emilia viene colpita: a Nonantola crolla l'abbazia, ricostruita dopo quattro anni, come recita l'epigrafe ancora oggi esistente sull'architrave del Portale Maggiore. Il Duomo di Modena e quello di Parma subiscono gravi lesioni così come a Piacenza crolla la chiesa di Santa Giustina al posto della quale sarà poi edificato l'attuale Duomo. Danni ingenti si registrano anche nel monastero di Badia Cavana a Lesignano de'Bagni e nella Collegiata di Castell'Arquato. Le grandi distruzioni verificatesi pure a Cremona (semidistrutto il Duomo) ed i crolli a Milano, Como, Pavia e perfino in Piemonte (Vercelli, Biella, Lago Maggiore) fanno ritenere possibile lo sviluppo di una sequenza sismica, probabilmente legato ad una migrazione degli epicentri verso Ovest. Difficile, se non impossibile, il conto delle vittime che può soltanto essere stimato, valutando i danni. Le cifre parlano di almeno ventimila morti, forse trentamila. Questo terremoto rimarrà a lungo impresso nella memoria della popolazione e nel territorio al punto che spesso sarà citato in diversi documenti notarili per decine di anni.

La storia si ripete nel 1222, addirittura nel giorno di Natale, intorno a mezzogiorno, quando le chiese sono affollate di fedeli (fig. 2). Con epicentro nei pressi di Monte Netto, una scossa stimata di Magnitudo intorno a 6.0 provoca crolli e vittime a Brescia dove per diversi mesi gli abitanti sono costretti a vivere in tende e baracche di fortuna. In città rimangono fortemente lesionati molti edifici tra cui la chiesa di S. Faustino ed il palazzo vescovile. Dal Garda alla Franciacorta, tutta la provincia bresciana è sconvolta: il castello di Vallio rimane praticamente distrutto. Anche a Lazise e Marano crollano fortezze, si segnalano danni a Lodi e Cremona. La scossa è chiaramente avvertita a Milano, Venezia, Bologna e Reggio Emilia dove interrompe la predica di Natale del vescovo Nicola. Pur essendo un evento minore, ma non troppo, rispetto a quello del 1117, conferma comunque come la Pianura Padana possa essere soggetta a terremoti, anche di Magnitudo elevate. Lo dimostra poi il corso della storia. 

Le fonti storiche citano un terremoto nel 1343 di localizzazione incerta. In base ai dati macrosismici, alcuni autori collocano l'epicentro in corrispondenza della città di Ferrara, mentre altri in corrispondenza della zona che ha interessato la sequenza sismica emiliana del 2012 e altri ancora nelle colline reggiane-modenesi. Tale evento sebbene non sia stato opportunamente localizzato, nel quadro sismologico regionale, evidenzia la pericolosità sismica dell'area emiliana.

Figura 3: Il campo di Intensità macrosismica stimato
per il terremoto del 1570 (da: Sirovich & Pettenati, 2015).
Il 5 giugno 1501 è Modena a subire una forte distruzione a causa di una violenta scossa, con epicentro localizzato nei pressi di Maranello. Si segnalano crolli e lesioni in molte chiese e nelle mura cittadine. Subisce forti lesioni anche la torre del palazzo comunale che, pericolante, qualche tempo dopo viene parzialmente abbattuta e da allora è nota come "torre mozza". Tra le località più colpite del circondario risultano Castelvetro, Maranello, Sassuolo e Montegibbio. Una cinquantina le vittime accertate. 


Arriviamo quindi al 1570 quando il sisma colpisce ancora più ad Est, con una sequenza che dura diversi anni (fig. 3). Questo terremoto acquisisce particolare rilevanza alla luce di quanto accaduto nel maggio 2012 in Emilia ed il suo studio è stato approfondito recentemente, nell'articolo "Source Inversion of the 1570 Ferrara Earthquake and Definitive Diversion of the Po River (Italy)", di Sirovich e Pettenati, apparso sulla prestigiosa rivista "Journal of Geographic Research". Certamente fu un sisma importante, paragonabile per diversi aspetti (compresi origine, cinematica ed ipocentro) a quello emiliano del maggio 2012, sviluppatosi 30-40 km più ad Ovest. Di Magnitudo stimata intorno a 5.8, la scossa principale si verifica il 17 novembre 1570 e provoca diversi crolli nel centro di Ferrara dove subiscono danni ingenti anche le possenti mura. Risultano colpiti, secondo testimonianze storiche, una cinquantina di siti e cittadine. Difficile conteggiare il numero esatto delle vittime che si stima in alcune decine: un terzo degli abitanti di Ferrara, compresa la corte estense, è costretto ad abbandonare la città e vivere per diversi mesi in alloggi di fortuna.

Figura 4: Il piano di subduzione, dettopiano di Benioff, 
per cui la placca Adria scorre al di sotto della placca
europea, in corrispondenza della catena appenninica
(modificato da: Balocchi e al., 2015; Doglioni, 1991).
Tutti questi eventi sono indissolubilmente legati alla sismotettonica regionale. Nella Pianura Padana il contesto tettonico è regolato dal movimento della microplacca Adria che scorre al di sotto della placca euroasiatica (fig. 4): movimento che ha iniziato a svilupparsi sin dal Terziario quando la collisione tra le due placche ha portato all'orogenesi appenninica in un ambiente paleogeografico dominato da un bacino marino, un vero e proprio oceano con tanto di dorsale, detto "Ligure-Piemontese". I movimenti tettonici, dovuti al progressivo scontro tra le placche, hanno portato alla chiusura del bacino, al sollevamento dell'orogene appenninico settentrionale ed alla formazione di strutture tettoniche profonde. Il movimento di Adria, tuttora in atto, concorre all'accumulo di energia ed al conseguente rilascio con la formazione di terremoti anche di grande intensità. Grazie ai profili sismici della zona, molti dei quali realizzati dall'AGIP, si evince che l'area di subduzione, ovvero la superficie inclinata per cui una placca scorre al di sotto dell'altra, detta "piano di Benioff", in questo caso si immerge di circa 70° in direzione sud-ovest, nel margine compreso tra Reggio Emilia e la valle del Reno. Una caratteristica essenziale del "piano di Benioff" è di essere sede privilegiata di terremoti.
Figura 5: Schema tettonico dell'Appennino settentrionale delle principali strutture tettoniche e delle aree strutturali (modificato da: Balocchi, 2011). Le linee verdi rappresentano il fronte sepolto della catena appenninica (faglie di thrusts) che rappresentano le strutture sismogenetiche principali legate alla sismicità emiliana del 2012.
Figura 6: Sovrascorrimenti sepolti della Pianura Padana centro-orientale, riconosciuti in base all'interpretazione dei dati di sottosuolo. I lineamenti indicati, generati tra il Messiniano ed il Pliocene Medio, costituiscono le cosiddette "pieghe" ferraresi, romagnole ed adriatiche, a seconda della loro posizione geografica. In blu è indicato il fronte di accavallamento delle cosiddette "Liguridi" sulla Pianura Padana. Alcune evidenze geologiche e geomorfologiche suggeriscono la recente riattivazione di questo fronte nella zona tra Reggio Emiglia e Bologna (da: Mantovani e al., 2013).

Nell'area emiliana, inoltre, sotto le potentissime coperture sedimentarie quaternarie padane e adriatiche, è presente il margine sepolto dell'Appennino, il cui fronte di sovrascorrimento è detto thrust, caratterizzato da una serie di strutture tettoniche particolari, attive, che prendono il nome di pieghe, differenziandosi per la posizione geografica e per il territorio sotto il quale si sviluppano (figg. 5, 6 e 7). Nell'analisi sismotettonica e nella valutazione della potenzialità sismica, riveste dunque grande importanza il quadro dettagliato dei lineamenti tettonici riconosciuti nel sottosuolo della Pianura Padana, in particolare nella sua area centro-orientale. Gli epicentri di gran parte dei terremoti storici avvenuti nella regione sono infatti collocati in piena pianura, tra Reggio Emilia e Rimini: è dunque plausibile che tali eventi tellurici siano causati dall'attivazione di queste strutture tettoniche sepolte al di sotto dei depositi di pianura.

Figura 7: Quadro geomorfologico-strutturale dell'Appennino settentrionale e Pianura Padana. In rosso i principali lineamenti tettonici e le "pieghe". Le sigle indicano i principali affioramenti di complessi metamorfici. Le linee nere puntinate indicano i presunti lineamenti compressivi attivi (da: Mantovani e al., 2013).
Figura 8: Sezione geologica lungo la traccia Modena-Mirandola, 
con l'alto di Mirandola, rappresentata da un'anticlinale, 
ovvero una successione di strati piegati, interrotti da una serie 
di faglie (linee rosse), in grado di di generare terremoti. 
L'evento di Mw 5,6 del 29 maggio 2012 è stata messa in 
relazione con una di queste faglie denominata faglia di 
Mirandola (da: Riga, Balocchi, 2015).
In relazione al sisma del 1570, ed a quello del 2012, la chiave è rappresentata dalle cosiddette "pieghe ferraresi". In questa zona la tettonica compressiva ha determinato una serie di alti strutturali, associati a pieghe antiformi (ovvero con la convessità rivolta verso l'alto) controllate da sottostanti sovrascorrimenti, tra cui il più interessante pare il cosiddetto "alto di Mirandola" (fig. 8). L'attività recente di tali strutture, già ipotizzata sulla base della sismicità storica e di indagini geomorfologiche, è stata confermata dall'intensa crisi sismica del maggio-giugno 2012. L'analisi dei dati sismologici, geodetici ed interferometrici suggerisce che la scossa del 20 maggio 2012 (Mw 5.8 ed ipocentro a circa 6 km di profondità) sia associata ad una faglia inversa del sistema ferrarese più esterno denominata “faglia media di Ferrara”, mentre l'evento del 29 maggio 2012 (Mw 5.6 con ipocentro a circa 10 km) sia invece correlabile con l'anticlinale di Mirandola (“faglia di Mirandola”). Il movimento di queste faglie all’atto del sisma ha causato un sollevamento del terreno di circa 11 cm nell’area epicentrale.
E' interessante notare che per i terremoti suddetti non sono state riscontrate evidenti tracce in superficie delle fratture sismiche. Ciò concorda con l'analisi per cui le faglie inverse sepolte (o blind thrust), capaci di generare terremoti distruttivi ma con Magnitudo inferiore a 6.0 (proprio come accaduto nel 2012), spesso non raggiungono la superficie terrestre. Si tratta di fratture sismogenetiche particolarmente insidiose e difficilmente riconoscibili, sia col rilevamento geologico-strutturale che con le analisi geomorfologiche, perchè in zone di pianura producono spesso solo deboli anomalie della topografia o del reticolo idrografico.

Figura 9: Posizionamento in sezione geologica della sorgente sismica del terremoto del 1570 in relazione alle strutture tettoniche profonde della zona circostante la città di Ferrara. Localizzazione degli ipocentri e del mainshock della sequanza sismica dell'Emilia del 20/05/2012 (da: Sirovich & Pettenati, 2015).
Al contrario, il sisma del 1570 produce invece gravi ripercussioni in superficie. Il suo ipocentro, posizionato nella parte più esterna del fronte appenninico sepolto e situato ad una profondità di circa 10 km, risulta perfettamente compatibile con le conoscenze sismotettoniche attuali (fig. 9). La sorgente sismogenetica, in base ad evidenze geologiche e indizi di tettonica attuale, si estende dai fronti sepolti a nord di Ferrara verso porzioni più esterne, e prende il nome di “faglia esterna di Ferrara”. A seguito del suo movimento, e al conseguente sollevamento della superficie topografica, si verifica inoltre il progressivo spostamento verso Nord di un ramo del corso del Po che si allontana da Ferrara, fino alla metà del XVI secolo attraversata dal cosiddetto "Primaro" (fig. 10). Identico fenomeno si sviluppa per il delta del grande fiume, che lascia le valli di Comacchio per assumere quella posizione che oggi conosciamo, spostata verso nord di una quarantina di km rispetto alla precedente. Si ritiene che tali eventi idrologici di superficie siano legati anche al sisma del 1570 ed al conseguente innalzamento dell'appenninico sepolto attraverso il movimento lungo i thrusts stimato mediamente in circa un cm all'anno.
Figura 10: Mappa dell'idrologia di superficie al tempo del
terremoto di Ferrara del 1570. Il ramo del Po Primaro,
anche a seguito dei mutamenti connessi al sisma, venne 
progressivamente abbandonato ed interrato
(da Sirovich & Pettinati, 2015, su mappa di Facci).
Per completare il quadro sismotettonico in esame, è importante valutare lo spessore della crosta terrestre in Pianura Padana, ottenuto tramite l'interpretazione delle numerose linee sismiche esplorate per la ricerca di idrocarburi integrate da sondaggi sismici profondi e dalle informazioni gravimetriche, condotte per l'intero territorio italiano con una certa regolarità sin dagli anni '50. La mappa relativa (fig. 11) mostra significative variazioni laterali dello spessore crostale che nel settore alpino raggiunge il valore massimo (oltre 50 km) nella porzione orientale mentre la crosta delle Alpi Occidentali appare ben più sottile. Per quanto riguarda la catena appenninica, si nota l'incremento dello spessore crostale da sud-ovest (settore interno o tirrenico) verso nord-est (settore esterno o padano). Tale incremento è segnato da bruschi salti, corrispondenti ai principali sovrascorrimenti appenninici che dunque, anche in funzione di questo parametro, risultano ben individuabili. Nella Pianura Padana lo spessore della crosta, è massimo in corrispondenza dell'Appennino (> 45 km) e diminuisce verso nord-est, per giungere a valori di 30-35 km.

Figura 11: Carta dello spessore crostale per l'Italia settentrionale, definito dalla profondità del confine crosta-mantello (discontinuità di Mohorovicic o Moho) dedotta dall'interpretazione dei sondaggi sismici. La scala cromatica descrive la profondità della Moho in km. Le linee rosse con triangoli (in basso al centro) identificano i principali fronti di sovrascorrimento dell'Appennino (da: Mantovani e al., 2013).
Figura 12: Carta del flusso di calore osservato in superficie. La scala cromatica a destra indica gli intervalli di flusso termico (da: Mantovani e al., 2013).

Altrettanto importante è la distribuzione delle misure di flusso termico emesso dalla superficie terrestre (fig. 12). La caratteristica più evidente è l'ampia zona di flusso relativamente basso che va dal Torinese fino all'Adriatico. Ciò suggerisce che sotto tale zona la litosfera sia particolarmente "fredda" e quindi in grado di conservare le proprietà meccaniche elastico-fragili sino a varie decine di km di profondità. Questo fatto, non trascurabile, potrebbe spiegare la presenza di sorgenti sismiche piuttosto profonde in Pianura Padana ed in particolare in Emilia-Romagna.

Dunque, in conclusione, la Pianura Padana appare interessata da una sismicità non trascurabile, provocata principalmente dal sollevamento tettonico costante del fronte appenninico sepolto dove le strutture sismogenetiche, siano esse interne o più esterne, paiono in grado di generare sismi anche di una certa intensità (fig. 13).

Figura 13: Schema tettonico e principali terremoti storici dall'anno 1000 nell'Appennino settentrionale ed in Emilia. I cerchi rappresentano gli epicentri dei terremoti, con grandezza proporzionale alla Magnitudo. Le linee nere con i triangoli rappresentano i fronti compressivi della catena; le linee rosse le principali faglie estensionali; le linee viola con i triangoli il fronte transpressivo tra le parti interna ed esterna della catena; le linee blu i crinali montuosi; la linea verde tratteggiata il fronte del raddoppio del basamento. Le sigle, gli elementi tettonici: BV = Bedonia-Varzi; CB = cuneo bolognese; CP = cuneo di Piacenza; ET = Faglia Enza-Taro; FSA = Fascia Simica Appennino Romagnolo (tratti blu); FTP: Fronte del sovrascorrimento (thrust) pedeappenninico; Ga = Garfagnana; LU = Lunigiana; Si = Fronte del Sillaro (da: Mantovani e al., 2013).

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